“Il giardino dei Finzi-Contini” fu pubblicato da Einaudi nel 1962, il romanzo si svolge tra il 1938 e il 1941 e sembra accadere al riparo da quello che stava succedendo fuori. Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi-Contini – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga – e di quanti altri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole I d’Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra. Ma l’impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa, una domenica d’aprile del 1957. Ho dormito all’Albergo Quattro Fontane una sera bella di maggio. Scrivendo ora, mi rendo conto che non usiamo quasi più la parola “albergo”, diciamo banalmente “hotel”, mentre io in fondo cerco dappertutto un “albergo”, con il suo significato poetico di dimora abituale, residenza. Ancora qualche secondo, e avrei udito la sua voce, il suo «ciao». «Ciao» disse Micòl, ferma sulla soglia. «Che bravo, a venire.» Avevo previsto tutto con molta esattezza: tutto, tranne che l’avrei baciata. La Signora è una donna anziana danese, laureata in architettura, una famiglia di artisti, la sorella pittrice, eleganti per nascita. Sta caricando a mano un grande orologio a pendolo dell’albergo, all’ora delle colazioni. I carrelli d’acciaio con le ruote nella grande sala, le cameriere di casa in tubino nero rigoroso, d’altri tempi, le tovaglie ciliegia e ciclamino, due punti di rosa perfettamente distinti e qui inseparabili, le prugne secche affogate nel vino tra stecche di cannella. Era il ‘nostro’ vizio questo: d’andare avanti con le teste sempre voltate all’indietro. Il campo da tennis in terra rossa. La Signora ci dirà che è chiuso, non sa se lo rimetteranno in sesto per l’estate, nessuno gioca più a tennis. Sarà perchè questi hotel li usiamo come luoghi di passaggio, invece che come alberghi. Fatto sta che io in quel campo invaso dalla vegetazione e sgualcito, l’estate sentirei ancora una gioventù in abiti bianchi di lane e cotoni d’altri tempi e vicende sentimentali eterne. La verità è che a furia di far collezioni, di cose, di piante, di tutto, si finisce a poco a poco col voler farle anche con le persone. Ci affezioniamo alla Signora e al bravo direttore Massimo e a questo albergo onirico e affatto decadente, che se ne sta dentro a un giardino, al Lido di Venezia, al riparo da quello che sta succedendo fuori.
Parole e immagini Meraviglia Paper.