Locanda Sospesa

Siamo arrivate alla Locanda in una mattina di primavera, lasciandoci alle spalle la strada che porta al mare e risalendo le colline verso il piccolo borgo di Pereta. Nessuna insegna, né un campanello da suonare. “Il glicine è colmo di boccioli ma solo tre grappoli si sono aperti, sicuramente per il vostro arrivo sarà nella sua forma migliore”, ci aveva annunciato Johnny. Lui ed Elizabeth ci hanno accolto con un bicchiere di vino e una storia da ascoltare. Nei primi del Novecento la dimora apparteneva a un giovane signore e alle sue due sorelle, possidenti anche delle terre intorno al borgo di Pereta. Abitavano tutto l’anno nella villa, tranne durante la villeggiatura, per la quale si spostavano nella casa di campagna, pochi chilometri più in là. Qualche decennio dopo, negli anni Sessanta, durante una cena, il padre di Johnny, decise di acquistare quello che rimaneva della residenza nobiliare, senza immaginare che un giorno sarebbe diventata la casa dove avrebbe deciso di vivere con la propria futura famiglia. Johnny  tanti anni dopo ha fatto la stessa scelta, trasferendosi qui con la moglie Elizabeth, le figlie Isabella e Olimpia e Sibilla, la gatta e, per ironia della sorte, ha trasformato la dimora in un luogo di villeggiatura dove trascorrere giorni pacifici e bucolici. Ogni stanza è un contenitore di ricordi, di memorie del tempo passato. Soffitti dipinti, pareti rivestite di tessuto, graniglia a terra e un vecchio pianoforte nella stanza del ricamo. Le finestre liberty aprono sul giardino bucolico. Le mura antiche che lo proteggono da un lato, sulla destra una balaustra che dà sull’infinito, a sinistra si intravede una delle chiese del borgo. E ancora, glicine, calle, ortensie, rose e alberi da frutto. Il pompelmo arriva dall’Africa. Era un seme quando è stato raccolto dai genitori di Johnny durante il loro viaggio di nozze e portato in Italia. Anche lui è cresciuto in questo giardino della maremma e a distanza di tanti anni produce frutti succosi che vengono serviti agli ospiti a colazione.

Parole e fotografie di Francesca Romana Fontana.

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